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Vecchio 06-09-12, 17:32   #4
BabyJenks
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Vorrei confidare a questa discussione pensieri che non ho mai nemmeno messo in ordine nella mia testa.
Sono due anni che sto con A. La nostra è una storia che, come tutte le relazioni, ha avuto i suoi momenti veramente critici, che per fortuna con molto dialogo e sicuramente con tanta voglia di stare insieme siamo riusciti a superare. Quando questo inverno ho iniziato a stare male, il mio ragazzo si è preoccupato molto per me. Quando poi tutto è degenerato mi è stato molto vicino. Quell'intera notte passata al PS, poi i ricoveri lunghi e debilitanti: ogni giorno con me, nonostante lavorasse dalle 8 di mattina alle 6 del pomeriggio no-stop alle sei e mezzo era in ospedale con me fino a quando le infermiere non lo buttavano fuori, per poi correre a casa a cucinare, pulire, lavare e assistere la sua mamma molto molto malata. Non ha mai detto una parola di lamento, di stanchezza, anche se io glielo leggevo negli occhi... Mi sentivo quasi in colpa, con la paura che si sentisse obbligato a venire in ospedale da me. Abbiamo perfino litigato per questo e non me lo perdono. Adesso che ho la mia diagnosi, lui si comporta in maniera molto particolare, a mio avviso. Mi sta vicino quando sto male, mi lascia i miei spazi se voglio stare sola e sta con me se voglio la sua compagnia, mi coccola, cucina per me tutte le cose che posso mangiare e le mangia con me (non mangia patatine fritte da 7 mesi per me...), capisce quando voglio uscire con gli amici e quando voglio stare a casa, condivido con lui anche le cose più imbarazzanti della nostra malattia e anzi cerchiamo il più possibile di riderci su. Però a volte mi sembra che non prenda sul serio la nostra malattia. Forse, per uno che vede ogni giorno una persona che sta praticamente morendo, la nostra malattia è quasi un compagno un po' fastidioso con cui convivere e basta. Non capisco se è incredibilmente forte o solo non si rende conto. So che la nostra non è una malattia grave, che siamo come tutti gli altri, semplicemente a volte mi sembra che non si renda conto di quanto difficile può essere convivere con questa cosa. Mi dice "se ci sto male non migliori di sicuro, quindi meglio essere allegri, così tiro su anche te"... condivido questa cosa, anche se ogni tanto lo vedo sul punto di esplodere. Penso che lui stesso non sia pienamente in grado di seguire la sua filosofia e ho terrore del momento in cui esploderà. Una volta in ospedale lo vidi così triste che gli chiesi e ottenni come risposta "mi sento uno schifo, lavoro tutto il giorno, vengo in ospedale da te che stai male, torno a casa e mia madre sta malissimo, poi lavoro tutto il giorno, vengo in ospedale... mi sento tremendamente". Mi colpirono moltissimo le sue parole, come se tutto d'un tratto l'uomo forte che avevo sempre visto, quello che mi sosteneva, fosse bisognoso di molto più di quello che potessi dargli. Da quel giorno cerco di sostenerlo anche io, per quanto posso, e di non fargli pesare la mia malattia. Certo ne parliamo, condivido con lui la paura dell'intervento, dei farmaci... lui con la sua sapiente razionalità cerca di far rientrare anche le mie eccessive reazioni emotive. A volte penso che il suo sia il comportamento perfetto, altre volte vorrei che facesse tutt'altro e glielo dico, ferendolo anche. Non so che fare, non capisco se sono io incontentabile o è solo il momento. Scusate se ho scritto molto e sono andata forse OT, ma avevo bisogno di condividere questi pensieri.
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